Interview #3

Benni Bosetto

* Il testo che segue è l’edit di un’intervista del 2016. La versione integrale è stata pubblicata in PANORAMA (DIORAMA editions).

Benni Bosetto (Milano, 1987) ha studiato presso l’Accademia di Brera (Milano) e il Sandberg Institut (Amsterdam). Il suo lavoro è stato esposto presso Fonderia Battaglia (Milano); Fondazione Baruchello (Roma); ADA (Roma); MAMbo (Bologna) Art Verona collateral project (Verona); FutureDome (Milano); Tile Project Space (Milano); Placentia Arte (Piacenza); DAMA (Torino); De Appel Art Center (Amsterdam); Cripta747 (Torino); Marsélleria (Milano); Fanta Spazio (Milano); Il Crepaccio (Milano); Bocs art residency (Cosenza); VIR Via Farini (Milano).

Nel 2016 sei stata in residenza a Parigi e in viaggio in India. Wow. Queste esperienze si sono rivelate utili per il tuo lavoro?

Sì! Wow! Ci ho messo un po’ a mentalizzare il viaggio. È proprio come dice il titolo di un mio disegno: “Great things never came from comfort zone.” Non che qui non mi sia trovata bene o che il viaggio sia stato traumatico, anzi è stato tutto molto intenso ed entusiasmante, ma ho la sensazione che quando decidi di rimanere fuori dalla tua zona di comfort tutto può diventare possibile. È tutto un po’ magico.Tra le varie cose ognuno di noi (Mara Fortunatovich e Timothe Dufrense, miei compagni di viaggio in residenza al Pavillon des Indes) ha lavorato con un gruppo di bambini seguendo una tematica molto generale legata alla percezione del tempo e dello spazio. Io ho cercato di analizzare l’idea con un approccio introspettivo. Uno spazio creato dalla visualizzazione delle percezioni corporee attraverso una metodologia sinestetica. L’intento del workshop Extra synesthetic landscape era quello di trasformare tutte le sensazioni corporee ed emotive provate dai bambini durante varie sessioni di meditazione, in forme, paesaggi, immagini reali o fantastiche che durante il corso sono state analizzate attraverso il dialogo, il disegno, la scultura ed infine hanno portato alla realizzazione di una serie di abiti o puppets e sculture che hanno creato un’installazione ambientale componibile e modificabile, all’interno della quale i visitatori hanno partecipato attivamente nello spostare e modificare lo spazio e la luce.

Si trattava di un nuovo ciclo? Era la prima volta che lavoravi in maniera così metodica con gruppi di persone?

Era un nuovo progetto, e sì, la prima volta che approcciavo l’arte in questo modo. Già prima di partire avevo sperimentato il workshop con un gruppo di bambini e devo dire che il risultato andò oltre le mie aspettative.

Nel tuo lavoro ricorre spesso una comprensione animista del mondo materiale: è frutto di un lavoro di ricerca su queste filosofie o di un’inclinazione naturale?

Certo, un lavoro di ricerca e di approfondimento deve esserci sempre nel lavoro di un’artista. Di sicuro la ricerca per me non è il fattore dominante, si può parlare di animismo nel mio lavoro solo in senso primitivo, puro, quasi infantile. A volte per esempio massaggio le mie sculture per farle stare bene, a volte le abbellisco o le faccio muovere, per me hanno un’anima davvero. Il mio non è un lavoro concettuale, piuttosto è un lavoro che invita a rilassarsi. Io non chiedo nulla all’osservatore, non vorrei nemmeno parlare del mio lavoro in senso teorico. Abbiamo già troppe informazioni da affrontare quotidianamente, informazioni che personalmente ritengo spesso inutili e siamo tutti così ansiosi e stressati che non me la sentirei mai di aggiungere o dimostrare teorie in più… Non è nella mia natura.

Immaginati in ‘pensione’, dopo decenni di pratica artistica: hai mirato alla creazione di un paesaggio che esprime in maniera immaginifica il tuo mondo, o vedi ogni lavoro come autoconclusivo, autonomo, come tentativo di esaurimento di un’idea?

Innanzitutto spero proprio di non andare mai in pensione! Rispondendo comunque alla tua domanda, ogni mio ciclo, come li hai ben denominati tu, è un paesaggio! Ed ogni ciclo è parte di un immaginario personale o collettivo.

Mantieni una pratica parallela al lavoro, che potrebbe o non potrebbe rientrarci, ma che ritieni ne aggiunga un livello di senso?

Per me qualsiasi pratica quotidiana potrebbe essere utile allo sviluppo del mio lavoro artistico, la mia vita sociale o asociale, tutto ciò che faccio, sento e vedo, il mio punto di vista politico delle cose. Penso che tutto potenzialmente possa aggiungere un livello di senso al lavoro di ogni artista e non solo per me, e intendo tutto senza distinzione alcuna, da ciò che è infinitamente passato a ciò che è infinitamente futuro. Il disegno per me è fondamentale ed influisce molto sui miei lavori scultorei ed alla creazione di nuove idee e progetti; sarebbe stratosferico riuscire a trasformare tutti i miei disegni in sculture o in grandi dipinti, anche se comunque più che pratica parallela il disegno è parte integrante del mio processo artistico e ultimamente lo ritengo anche un fine perché dopo aver lavorato per un intero anno a grandi lavori in uno spazio estremamente ristretto, ora ho l’esigenza di utilizzare il mezzo più semplice, umile ed essenziale in uno spazio grandissimo.

Come pensi influisca l’ambiente circostante, nello specifico di Milano, sul tuo lavoro, sul lavoro di un’artista?

Come dicevo prima l’ultimo studio che ho avuto a Milano sembrava realmente uscito dal mondo degli gnomi, era piccolo! Ma questo però non mi ha impedito di produrre opere di grande dimensione anche se è stato molto faticoso e un po’ claustrofobico. A Milano avere uno studio è un lusso di pochi, credo, e poter vivere con l’arte è pressoché impossibile per noi giovani artisti. Ovviamente a volte può essere un vincolo e quindi, prendendo la situazione positivamente, anche una sfida a trovare il perfetto compromesso con l’ambiente circostante. Ribadisco il concetto: “Great things never came from comfort zone.