* Il testo che segue è l’edit di un’intervista del 2016. La versione integrale è stata pubblicata in PANORAMA (DIORAMA editions).
Chiara Terraneo (Cantù, 1984) ha studiato presso la NABA (Milano), WDKA (Rotterdam), CFP R. Bauer (Milano) e Magnum Photos (New York). Ha esposto il suo lavoro presso Inchiostro (Alessandria), Gason Lisak (Barcellona), I Never Read (Basel), Pelagica, Spazio Florida e SPRINT (Milano).
La tua attività si divide tra illustrazione, fotografia, video e produzione di ceramiche e pubblicazioni. Da dove hai iniziato, e come hai sviluppato poi il tuo lavoro nei vari media?
Prima era il disegno, la grafica, poi la fotografia. Poi il ritorno al disegno, sudato, necessario ed impellente. Il disegno arriva dove non arriva la fotografia, e la fotografia mi serve ad altro. Il disegno è fisico, la fotografia è oculare anche se implica lo spostamento del corpo. La ceramica, è… Avevo bisogno di costruire qualcosa di fisico, e allora ecco l’argilla. Le pubblicazioni sono per ordinare le idee e dar loro un corpo e alle cose una direzione, quindi a metterle nel mondo.
Hai uno stile molto personale, quasi infantile: da cosa è nato?
Credo che sia stata un’evoluzione della mano. Non mi interessa il disegno realistico, anche se ne apprezzo il valore. Per quello ho la fotografia. Ad un certo punto ho avuto bisogno di semplificare, pulire il segno e andare più veloce della testa. I pensieri fanno bene e fanno male.
Qual è stata la tua formazione?
Liceo artistico, Graphic Design in NABA e Erasmus alla WDKA di Rotterdam: è stato il mio primo approccio a una situazione internazionale e dove ho incontrato la fotografia. Ho lavorato come graphic designer per l’editoria cartacea. Poi mi sono iscritta a fotografia al CFP. R. Bauer a Milano. Poi ho lavorato a Londra come assistente fotografo per uno studio che si occupa di still life, dove ho raffinato la tecnica di illuminazione. Ho ripreso a disegnare. Vari workshop, con Sarah Jones, Alec Soth… E un’esperienza a Magnum Photo a New York come archivista.
Nel tuo lavoro sono presenti vari riferimenti all’iconografia romanica e medievale, ai bestiari e ai libri di botanica. Da dove arrivano le tue ispirazioni??
Tengo un taccuino in tasca, nello zaino, in borsa, dove appunto le persone intorno. Disegni veloci, bic nera, preferibilmente. Sui mezzi, nei bar, mentre mangio. I movimenti, i gesti, le posture, le frasi che dicono, o le impressioni che si formulano improvvise nella mia testa, il mio stato emotivo del momento. Poi ci sono i viaggi esotici fatti per il mondo. Subisco visceralmente la fascinazione dei bestiari medioevali europei, delle tavole indiane antiche, degli erbari di erbe fantastiche, quelle con le erbe stilizzate. Le prove di medicina, gli studi anatomici su carta, le forme dell’alchimia… Sono scatole cinesi che portano ad altre scatole cinesi. Poi c’è il mio amore per la pittura romanica parietale… Per quel suo tono infantile e didattico: perché ti devo spiegare, ti devo indottrinare, e tu, devi capire bene. Ogni oggetto, persona e pianta, ogni dimensione, in quelle ‘vignette’ negli amboni delle chiese, serve a una cosa precisa, non ci sono cose in più. Mi interessa la loro risoluzione degli spazi. Poi c’è l’arte afro-americana di inizio secolo, come quella di Clementine Hunter; ma sono un’insaziabile ricercatrice.
Il viaggio è spesso al centro del tuo lavoro. Nel 2015 eri in residenza a Barcellona nello spazio di Gaston Lisak, dove hai iniziato una ricerca sul mito greco di fondazione della città.
Sono voluta andare alle origini della città che mi ospitava. Ho scoperto questo mito greco per il quale si ritiene che, durante il viaggio degli argonauti, Eracle ed Hermes ritrovarono la nona nave perduta nei pressi del Montjuic, la collina di Barcellona dove ora sta l’orto botanico; innamoratisi del posto, fondarono la città, Barca Nona. Ricerca online prima e nella città fisica poi. Ogni luogo ha i suoi colori, gli edifici, la natura che variano con le luci. La mia paletta è arrivata dalle sveglie mattutine a veder il sole sul mare, i giardini, i parchi, quali fiori nei parchi, quali bestie. Mi sono chiesta: “che avrai visto, arrivando dal mare prima di tutti?”. Mi son fatta permeabile a Barcellona: il nero è pressoché scomparso e tutto è diventato pattern percettivo.
Hai anche realizzato un progetto sul tema della Tauromachia: come hai sviluppato questa ricerca, e in che opere si è tradotta?
In seguito a Barcellona mi sono stati chiesti dei disegni per la Tauromachia nell’area mediterranea. Ho deciso per il mito del labirinto dell’isola di Creta. Ogni progetto è un’occasione per sperimentare. Ho provato le dimensioni più grandi, ho ripreso in mano pennelli e matita sconosciuti da tempo. Ogni strumento implica un nuovo modo di muoversi e un approccio diverso. I colori sono predati al Palazzo di Cnosso; la linea della matita si è snellita, ripulita dopo gli incontri con i vasi greci a figure nere e rosse. E poi sono apparsi i minotauri in lamierino come ex voto, con corpo greco e testa rubata all’arte parietale egizia.
Ti sei poi avvicinata alla ceramica e al tessuto; si tratta di pratiche che contemplano un processo articolato e un rapporto molto diretto e profondo con la materia. Da cosa è nato questo interesse??
Avevo bisogno di qualcosa di utile, di produrre qualcosa di toccabile e utilizzabile. Oltretutto il tessuto mi affascina molto, e questo è appena l’inizio.