* Il testo che segue è l’edit di un’intervista del 2016. La versione integrale è stata pubblicata in PANORAMA (DIORAMA editions).
Giovanni Riggio (1993) vive e lavora a Milano. Il suo lavoro è stato esposto presso AIR Antwerpen (Anversa); Future Suburban Contemporary (Copenhagen); Viafarini (Milano).
Con BB5000 ha esposto presso Horizont (Budapest); Aldea (Bergen); Fondazione Baruchello (Roma); Galerie Tobias Naehring (Leipzig).
Nel tuo lavoro, immaginari di futuri e passati remoti collidono in forme che ricordano molto un presente portato all’eccesso: il suo ritratto grottesco. Ti senti vicino a questa categoria estetica?
Nella mia pratica quotidiana di ricerca visiva, ciò che mi attira proviene da moltissimi ambiti, dalla moda al lavoro di altri artisti, dalle super tecnologie applicate a tutto ciò che in genere mi fa immaginare il futuro. Mi sono interessato a repertori iconografici primitivi, a scorrere archivi digitali di musei etnologici intrigato dalle forme che alcuni di questi manufatti assumono. Ho come l’impressione che questi si incastrino perfettamente nella frammentazione che l’oggi ha assunto distribuendosi tra IRL e URL. Forse è nel suo generare forme diverse, nel creare nuovi scenari assolutamente alieni alla realtà che al passato, è in questa deformazione che ritrovo un aspetto “grottesco”, ma è una definizione che utilizzo abbastanza di rado, è più una questione di forma mentale percepita che la sensazione paradossale o comica che ne deriva.
In che forma è emerso il tema del rito nel tuo lavoro?
Approcciandomi a quanto detto, è venuto naturale prendere in considerazione la dimensione ritualistica che questo ambito porta con sé. Mi piace osservare come in alcune pratiche contemporanee affiori un certo tribalismo, impulsi assolutamente primitivi fusi a diverse cose da mondi o culture diverse. In un mio precedente lavoro performativo NINJANINJANINJA (2015) un danzatore esegue una sessione freestyle di Voguing. Nato nei club omosessuali newyorkesi, questo tipo di danza conserva un carattere tipicamente tribale nel suo creare comunità e trasformare il corpo dell’interprete in un corpo magico ed esteso oltre i suoi limiti. La successione coreografica dei movimenti che ho utilizzato fonde alle pose da rivista di moda (da qui il nome Voguing), movimenti tipici delle arti marziali e della danza rituale giapponese, con linee rigide, controllate e simmetriche. Emerge un altro tipo di ritualità, che mi piace definire #RitualFAKE, ovvero una falsa trasposizione di rituali antichi che nella contemporaneità globalizzata perdono la loro matrice magica originaria per divenire altro.
Mi racconti dell’esperienza, passata, presente e futura di BB5000?
Io, Arcangelo, Francesco, Filippo e Giada ci siamo conosciuti in Accademia, e sin da subito abbiamo trovato una grande sintonia. Sembrava che ci calamitassimo a vicenda, incuriositi non solo dal lavoro, ma dalla personalità di ognuno di noi. Abbiamo iniziato a passare tanto tempo insieme, a stringere una grande e profonda amicizia che andava oltre il rapporto professionale che intercorreva tra noi. È stato pertanto naturale tentare di testare questi legami anche in ambito lavorativo e a giugno 2015 abbiamo colto l’occasione realizzando un open studio tra amici. L’effetto è stato immediato! I nostri lavori, nonostante le loro differenze, stavano perfettamente insieme, convivendo lo stesso spazio si relazionavano reciprocamente. Successivamente, alla proposta di realizzare una mostra in uno spazio espositivo milanese, è stata immediata l’idea di lavorare insieme come unico gruppo, quindi unica identità composta da tutti e cinque. Visto l’esito positivo della nostra prima esperienza stiamo continuando a lavorare insieme e sicuramente continueremo a farlo!
HyperRruin sembrava mirare a una costruzione di un mondo che i lavori in mostra abitavano. Ci abiteresti, in quel mondo?
La prima impressione che HyperRruin generava era questo paesaggio desolato, una spiaggia abbandonata alla cui deriva si stavano formando nuovi organismi, provenienti dai residui depositati da una precedente cultura. Era un paesaggio di rovine potenziate dalla loro duplice natura concreta e digitale. Se dovessi immaginare di abitarlo vorrei che HyperRruin fosse una delle land di Second Life, dove mi piacerebbe loggarmi ogni tanto, indossare i miei Hololens settandoli su #goodlife e magari prendere un mojito guardando il tramonto.
Cosa salvi, di questo mondo che abiti, ora, qui, di questa città, degli oggetti e degli esseri che la abitano?
Ultimamente ho sempre più la percezione di abitare diversi spazi non del tutto contigui. La mia vita IRL, qui e ora, lì e da nessun’altra parte, si interseca a un asse appartenente a una dimensione temporale diversa. Vivo a Milano da quasi quattro anni, il mio presente si ritrova in questa fisicità, che adoro. È una città che mi ha fatto stare bene, che mi piace e che trovo sempre affascinante, nonostante senta fortemente i suoi limiti. Allo stesso tempo, in alcuni precisi luoghi o momenti succede che a essi si sovrappongono immagini di spazi altri che ho abitato in un tempo passato, immaginando che stiano scorrendo e crescendo in una dimensione che non è quella concreta, ma che ciò nonostante continuo a vivere.