Interview #31

Lisa Dalfino

* Il testo che segue è l’edit di un’intervista del 2016. La versione integrale è stata pubblicata in PANORAMA (DIORAMA editions).

Lisa Dalfino (Como, 1987) ha studiato all’Accademia di Brera (Milano). Il suo lavoro è stato esposto presso Abbazia di San Remigio e Chiesetta di San Sebastiano (Alessandria), Chiesa di San Carpoforo, Motel Lucie, Unicredit Studio, Piscina Caimi, Museo Pecci, Fanta Spazio, GAM, Studio Valentina Garbagnati (Milano); Castello di Nocciano (Pescara); Home-for-Hall (Rikuzentakata), Unicredit Studio (Trento).

Prima di  conoscere il tuo lavoro di persona è passato molto tempo: prima della tua personale da Fanta ne ho potuto tessere la trama, per quanto poco mi fosse possibile, grazie a piccoli frammenti, perlopiù racconti di amici. Questo mi ha fatto pensare, stupidamente forse, che questa dimensione fosse parte della tua pratica. Ora ho l’occasione di chiedertelo: è così?

Sinceramente non posso dire che sia una componente premeditata del mio lavoro. Tuttavia reputo la tua ‘impressione’ pertinente in quanto felice conseguenza, come un eco generato dall’opera stessa. Difatti non amo che la conoscenza dei miei lavori si esaurisca soltanto in una fruizione passiva (foto, testi etc…), ma vorrei che anche il solo parlarne sfugga alla noia di una singola visione. Ad esempio, per cogliere il tuo riferimento alla mia mostra personale da Fanta, avendo deciso di non fare alcun comunicato stampa per l’evento, mi ha molto divertito udire la voce squillante di mia madre che andava in giro ad elargire fantasiose e romanzate versioni sui miei lavori, ‘spacciate’ come le più intime ragioni ed ultime verità di essi!

Quali sono gli spazi e i tempi in cui preferisci o necessiti lavorare? Intendo: in compagnia o isolata? Lentamente o velocemente? Occupando molto o poco spazio?

Gli spazi necessari sono sempre stati molteplici e dipendenti dalle esigenze e dai limiti imposti da ogni opera. Dalle vette delle Alpi Svizzere, al garage di casa mia, allagato e dominio dei gatti randagi, di casa mia. Sulle tempistiche, in principio dettate da un’ingenua onnipotenza, posso dire che nei fatti è stato ben diverso. Ma nonostante il duro scontro con la realtà, ho apprezzato moltissimo quel piacevole dilungarsi che si ha nell’escogitare e nell’apprendere le migliaia di nozioni necessarie alla realizzazione dei progetti. Quindi ad accettare ed apprezzare l’apporto di chiunque mi aiutasse in questo: dal sapiente intagliatore al mio ‘compagno di banco’ e così via. Tuttavia diversi lavori mi hanno richiesto una meravigliosa solitudine.

Molti tuoi lavori hanno finora necessitato, e presentano, o una conoscenza tecnica particolareggiata, o una straordinaria pazienza. Che rapporto hai con la specializzazione tecnica o al contrario, col dilettantismo?

In principio era il vuoto, totale. Ho sempre avuto idee mai supportate da quelle che erano le mie abilità enumerabili in quella data circostanza. Tuttavia questa asinità è stata la condizione indispensabile per mantenere il ‘brodo primordiale’ ben caldo. Solo tali premesse permettono il passaggio dal dilettantismo iniziale, ma necessario, poiché ignora i limiti, al grado tecnico richiesto. Una certa ignoranza preserva dall’abbattimento immediato di folli progetti, che vedono la luce grazie alla costanza nel ritenere un limite solo se tale è ritenuto. Un amalgama turbolenta e imprevedibile tra questi opposti con infinite varianti indeterminabili porta ad un risultato certo!

Nonostante le differenti soluzioni formali leggo nei tuoi lavori una sorta di volontà mitopoietica: vivono tutti nello stesso mondo?

Più che risultati o componenti di una storia, vedo le mie creazioni sotto forma di personalità che incarnano un forte sentire. Non originate da un semplice capriccio fantasioso, ma colte da ciò che più ha catturato la mia attenzione in questo pianeta. Ho estrapolato veri e propri moti dell’anima che ho elaborato sotto forma di ‘esseri’ in attesa di prendere vita, in una dimensione indefinibile ma più vicina a noi di quanto si possa pensare.

Parlandomi del tuo lavoro Bobby con Esperanza (2012-15), una scultura in creta cruda in cui una bambina cieca viene guidata da un cane pastore, mi hai detto della  volontà di richiamare uno stato di convivenza pacifica fra uomini e animali. Questo  mi ha ricordato la produzione del predicatore quacchero Edward Hicks, la cui intera opera fa esplicito riferimento al concetto  di regno messianico di pace profetizzato da Isaia nell’Antico Testamento. Senti vicino questo regno?

Sì! Molto, molto vicino.

Vicino in senso temporale (prossimo a venire) o spaziale (che ti riguarda, che fa parte del tuo immaginario)?

Se fossi un gatto nero ti saprei rispondere con più certezza, ma approssimativamente in un senso precipitevolissimevolmente temporale. Sì, il Temporale è vicino!

Mi sembra che in alcuni lavori ci sia il tentativo da parte tua di rappresentare e, allo stesso tempo, di  annullare una distanza. Una dialettica che sembra alludere a una terza presenza che, oltre la tua volontà, rende possibile questa scissione e questa unione. È così? E ha un nome questa presenza?

La condizione contraddittoria cui a ragione ti riferisci, effettivamente permea la natura intima dei miei lavori. Molti hanno percepito questa condizione contrastante come elemento di tristezza o negatività. Ed è qui che subentra la terza presenza (dai molteplici nomi) di cui parli, che svela la chiave di lettura, dove ogni meccanismo umanamente concepito, come nel caso della Coppia di amanti, in cui la separazione e la distanza appaiono insostenibili, diventa un’attesa estranea alle logiche temporali e temporanee, avendo come certezza una riconciliazione sotto la luce di un’unione assoluta. Similmente Bobby con Esperanza nascono da un immaginario che non può tener conto delle logiche terrestri. Il loro viaggio diventa una bussola per chiunque desideri seguirli.