* Il testo che segue è l’edit di un’intervista del 2016. La versione integrale è stata pubblicata in PANORAMA (DIORAMA editions).
Riccardo Banfi (Milano, 1986) ha studiato presso lo IUAV (Venezia) e la Fondazione Spinola Banna per l’Arte (Torino). Il suo lavoro è stato esposto presso LOOP Video Art Festival (Barcellona); Agora (Berlino); Crosstalk Video Art Festival (Budapest); Phoenix Gallery (Brighton); The Church of London (Londra); Museum of Contemporary Art of Vojvodina (Novi Sad); Centre National Édition Art Image (Chatou-Parigi); Fondazione Bevilacqua La Masa, Gervasuti Foundation e Palazzo Carminati (Venezia).
Abbiamo aperto lo studio visit con la serie I found myself in Guwahati, una sorta di diario della tua esperienza in India. Ci racconti un po’ le tue impressioni del luogo, animali compresi?
I found myself in Guwahati è un progetto realizzato nella città di Guwahati in Assam, la più grande area metropolitana del nord-est dell’India, durante un periodo di ricerca promosso da Paolo Rosso, direttore artistico di Microclima a Venezia. La città si affaccia sulla riva del fiume Brahmaputra e conta circa un milione di abitanti; è al di fuori di tutti gli itinerari turistici, non ci sono infrastrutture e si è inevitabilmente catapultati nelle sue dinamiche, senza alcun filtro o comfort. È stato il mio primo viaggio oltre i confini europei: questo aspetto mi ha portato a sviluppare il lavoro sia come esplorazione del contesto sia come reazione a una cultura e una storia alle quali non mi ero mai interessato. Provo una fascinazione per gli animali e nelle fotografie questi ricorrono in carne ed ossa, impagliati, dietro a delle recinzioni. A questo proposito mi preme citare un passaggio di Perché guardare gli animali? di John Berger, perché coglie esattamente il significato di questa relazione: “Quando sono intenti a esaminare un uomo, gli occhi di un animale sono vigili e diffidenti. Quel medesimo animale può benissimo guardare nello stesso modo un’altra specie. Non riserva uno sguardo speciale all’uomo. Ma nessun’altra specie, a eccezione dell’uomo, riconoscerà come familiare lo sguardo dell’animale. Gli altri animali vengono tenuti a distanza da quello sguardo. L’uomo diventa consapevole di se stesso nel ricambiarlo. L’animale lo scruta attraverso uno stretto abisso di non-comprensione. Ecco perché l’uomo può sorprendere l’animale. Eppure anche l’animale – perfino se è domestico – può sorprendere l’uomo. Anche l’uomo guarda attraverso un simile, ma non identico abisso di non comprensione. Ed è così ovunque egli guardi. L’uomo guarda sempre attraverso la propria ignoranza e la propria paura“.
Tnx è il libro realizzato con Yes I Am Writing a Book, un’edizione di 300 e delle stampe presentate alla Fonderia Artistica Battaglia. Com’è nato il progetto?
Federico Barbon e Andrea Scarabelli – aka Yes I am Writing A Book – mi hanno proposto una collaborazione, e ci siamo concentrati su un insieme di fotografie che avevo realizzato per CLUBNIGHT#2, un’installazione che riproduceva l’esperienza del clubbing in uno spazio espositivo espandendo il discorso sul club da luogo di divertimento e libertà a sede per rituali contemporanei di appartenenza a una sottocultura, interrogandosi sui ruoli e le modalità di interazione degli individui all’interno di una comunità. Giulia Bini ha redatto il testo, ed ecco Tnx. Il titolo si riferisce alle tre consonanti così come alle tre luci che dominano il privé del club protagonista: il Tenax di Firenze.
Il tuo progetto forse più ambizioso è No Standing Just Dancing: raccontaci di cosa si tratta.
No Standing Just Dancing è una serie sulla club scene parigina realizzata tra il 2013 e il 2014 con il supporto di Giuliana Setari e Dena Foundation Contemporary Art. Prima del mio arrivo non ne sapevo molto e non mi aspettavo di trovare una tale energia. Ho osservato il soggetto da tre prospettive differenti: il dancefloor, la produzione musicale e il paesaggio urbano. Concrete è stato il primo club che ho frequentato, la programmazione all’epoca si limitava a un evento diurno ogni due domeniche su una peniche a bordo Senna. Le prime immagini che ho scattato sono quelle della folla, nella open air terrace, e il titolo del progetto cita un cartello affisso vicino alla consolle: “No standing just dancing. Please don’t kill the vibe“. Come punto di partenza ho compilato la to do list con tutte le sedi in cui venivano organizzate manifestazioni di musica elettronica. L’ho usata per esplorare la città e mi sono fatto poi guidare dal mio gusto personale, indirizzandomi verso le maggiori istituzioni tra cui la già citata Concrete, il Rex Club e La Machine du Moulin Rouge. ?
Puoi nominarci alcuni grandi fotografi del clubbing di riferimento per te?
Consiglio di sfogliare il libro UKG di Ewen Spencer pubblicato da GOST nel 2013.
Ci parlavi della condizione di non avere uno studio e del fatto che il tuo studio sia online, su uno schermo…
Il desiderio di averlo è forte e lo sento come una condizione più che favorevole, ma è evidente che oggi il computer sia è uno spazio fisico mobile, con cui è possibile progettare e lavorare ovunque.
In che zona abiti a Milano?
Sono nato e cresciuto tra Città Studi e Porta Venezia e ancora oggi sono le zone dove trascorro la maggior parte del mio tempo a Milano.
Puoi menzionare alcuni spazi in cui hai esposto in città, o spazi che sono di riferimento per te?
L’unica realtà con cui ho avuto modo di collaborare a Milano è stata la Fonderia Artistica Battaglia in occasione del lancio di Tnx. Ci sono poi spazi che frequento sistematicamente, come il bookshop Micamera, la Galleria Carla Sozzani, il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea e l’Hangar Bicocca.