Interview #39

Cristiana Palandri

* Il testo che segue è l’edit di un’intervista del 2016. La versione integrale è stata pubblicata in PANORAMA (DIORAMA editions).

Cristiana Palandri (Firenze, 1977) ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti (Bologna) e la University of the West of England (Bristol). Il suo lavoro è stato esposto presso Bangkok Art and Cultural Center (Bangkok); Horton Gallery e Liebig12 (Berlino); Bosisio-Sabot Gallery (Cluj-Napoca); Museo Marino Marini (Firenze); Museo del Novecento (Milano); Scaramouche Gallery (New York); MLAC e Museo Bilotti (Roma); Museum of Art Seoul National University (Seoul); Fondazione Merz ed Ex Borsa Valori (Torino).

Partiamo da Cosmogonia, il tuo lavoro praticamente tridimensionale, grazie ad un enorme uso di china su lucido. Quali altre tecniche hai utilizzato per renderlo tale? In che modo il disegno diventa autonomo e tende alla tridimensionalità? Come lo fai fluttuare nelle cornici al momento dell’installazione?

Parlo di questa serie di disegni con il termine ‘scultura leggera’ perché la carta che utilizzo si increspa dopo averla imbevuta con inchiostro di china nera: la spazialità del supporto cambia totalmente, abbandonando la piattezza della superficie. Mi piace pensare che i miei disegni si autocreino, nel senso che, quando disegno, preferisco farlo senza un progetto definito e ascoltando determinati tipi di musica, mi allontano il più possibile da ciò che accade realmente in studio. Se tutto scivola verso altro, il disegno diventa una genesi spontanea.

In tema scultura – abbiamo visto quella prodotta in occasione di Oversight al MLAC di Roma, che utilizzi per le tue performance – e 1931. Entrambe sembrano essere accomunate dalla presenza di ossa, puoi parlarci della creazione di una e dell’altra e del tuo interesse per questa parte del corpo umano?

Oversight è una performance nella quale ho usato un assemblage di ossa animali, che applicavo al corpo di una donna nel tentativo di mostrare la mia prassi scultorea di fronte ad un pubblico e lontano dall’intimità dello studio. Mentre 1931 è una scultura che ha la forma di un piccolo osso, che ho realizzato intagliando una saponetta, mettendo nuovamente in campo la diceria per la quale le ossa venivano utilizzate nella fabbricazione di sapone nei campi di concentramento. Mi ha sempre affascinato la forma delle ossa e la possibilità di combinarle a mio piacimento per costruire creature immaginarie, e inoltre parlano apertamente della vita e della morte.

Diatomee è invece una serie di disegni di alghe realizzati a china che, come in Cosmogonia, tendono alla tridimensionalità grazie allo strato di cera che li copre. In che modo l’alga si avvicina alla tua estetica del fluttuare e soprattutto alla ‘figurazione’ del disegno?

Il titolo ‘diatomea’ è una metafora del lavoro, perché le forme che traspaiono dallo strato di paraffina possono assomigliare ad organismi che fluttuano al di sotto di uno strato di ghiaccio, e più precisamente a questa categoria di alghe unicellulari caratterizzata da un guscio siliceo trasparente.

Hai prodotto delle sculture che si indossano, dei capi per il brand Marsèll, tra cui cappelli e collari decorati da piume. Com’è nata e come procede questa collaborazione?

Ci conosciamo da molto tempo e ho spesso lavorato con loro per quanto riguardo la parte sonora di sfilate e presentazioni, mentre sono diversi anni che porto avanti la creazione di sculture indossabili, Sic Itur Ad Astra, che hanno anche un legame con il mondo della moda. Quando Mirko Rizzi le ha viste, mi ha proposto di collaborare alla realizzazione di una serie di snap per Marsèll.

Da sempre ti sei anche occupata di produzione musicale: hai prodotto un’edizione per T.A.M. che univa il suono con la pratica del disegno in 50 esemplari unici e diversi tra loro, e hai prodotto l’ep Sub Umbra su cassetta, sullo stesso principio. Possiamo approfondire la tua visione del legame tra suono e disegno e la tua esperienza di creazione di edizioni?

Suono e disegno si compenetrano perfettamente e necessitano l’uno dell’altro nella mia ricerca. L’edizione T.A.M consisteva in una serie di 50 esemplari, intitolati L’Homme Face à la Nuit Reconnaît son Incomplétude: volevo combinare una registrazione sonora prodotta da me e incisa su CD, con un monotipo in xilografia con forma zoomorfa, stampato su cartoncino nero. Ho cercato di creare un parallelismo processuale tra questi due linguaggi attraverso la ripetitività della musica minimalista e le lievi differenze della stampa xilografica del monotipo. Volevo far coesistere questi due aspetti in un unico lavoro.

Siamo poco lontane da Porta Genova: in un cortile semi nascosto c’è la tua casa studio con dei soffitti altissimi. Dicevi che dopo l’accademia è nata l’esigenza di avere uno studio per sviluppare il tuo lavoro. Quanto è importante per te lo spazio che hai a disposizione e quanto sono importanti elementi come spazio, luce, tempo?

Passo gran parte della mia vita in studio e per me, in un certo senso, è tutto. L’aspetto fondamentale in uno studio è la luce naturale: è ciò che lo rende così etereo ed immateriale da poter immaginare qualsiasi cosa al suo interno, tanto da farlo divenire una tabula rasa da cui far nascere tutto… Meglio, un foglio bianco.