Interview #57

Martina Bassi

* Il testo che segue è l’edit di un’intervista del 2016. La versione integrale è stata pubblicata in PANORAMA (DIORAMA editions).

Martina Bassi (Imola, 1988) ha studiato presso l’Università degli Studi di Milano (Milano). Il suo lavoro è stato esposto presso Museo MAGA (Gallarate);  Istituto Svizzero, O’, Room Galleria e The Art Markets (Milano); Teatro Valdoca (Reggio Emilia); Wilson Project Space (Sassari); Spazio Barriera (Torino).

Di cosa parla la tua ricerca, e in che misura si sviluppa??

La mia ricerca parla della costruzione di un mondo. Dal microscopico della materia a piccoli spazi, a paesaggi, a incroci di sguardi con altre persone. Ogni superficie nasconde sempre una qualche forma di illusione. Nulla rimane in se stesso e ogni elemento porta sempre a qualcosa d’altro. Una domanda al guardare, che conduce al dinamico e all’incostante.

I tuoi lavori sono prevalentemente basati sulla percezione visiva: in che modo la psicologia di chi osserva influenza l’esperienza dell’opera?

Mi interessano i modelli che la mente utilizza per creare conoscenza. Sovvertire quei modelli simulandoli, ribaltandoli, distruggendoli e ricomponendoli è qualcosa che dà la possibilità a chi guarda di ritrovarsi nella propria unicità di pensiero. Per il resto è un movimento sottile e ironico, che appena si dà, si nasconde. Sfugge. L’influenza vera arriva dopo la visione dell’opera. Se gli occhi di chi ha guardato cominceranno a vedere diversamente nella quotidianità, allora si sarà fatta vera esperienza.

Hai da poco intrapreso un corso di studi in neuroscienze, come pensi che aiuterà la tua ricerca?

Per capire come funziona la macchina della percezione. Nel concreto non posso ancora saperlo, si vedrà.

Durante il tuo studio visit è venuto a trovarci un prete per benedire la casa. Vuoi parlarci del tuo progetto di creare un altare, e come vivi la spiritualità?

La spiritualità c’è. E non saprei cos’altro dire. L’altare fa parte di un progetto molto grande a cui sto pensando da un po’. È un elogio al nascosto che è in tutte le cose. La possibilità di accederci. È il continuo del percorso.

Hai prodotto un lavoro riprendendo il pavimento di T.A.M., vuoi dire due parole su quella collaborazione?

Appena ho visto lo spazio ho desiderato vederlo ribaltarsi come se fosse la pagina di un libro. E così ho fatto. Poi ho realizzato che è un bookshop e che dentro ci sono tanti libri. Ed è nato un rapporto.

Che influenza ha Milano su di te?

Milano è una città da attraversare. Non so se sia perché vado spesso in piscina che mi sembra una città liquida, o se lo sia effettivamente. Quando esco dalla piscina e cammino mi sembra di stare ancora nuotando. La domenica mi fermo. Vado a messa, faccio il bucato, osservo il mio gatto, leggo. Mi godo la noia.

A livello di network, c’è qualche artista con cui ti trovi particolarmente bene a collaborare?

Mi trovo particolarmente bene con Ada, la mia vicina di casa. 82 anni e 4 gambe. Non riesce a raggiungere quasi nulla se non facendo molta fatica ma con la testa va dappertutto. La sua ombra si chiama Lidia e la sua positività è ben rappresentata dall’affermazione “Da Ada, da”. C’è Gabriella, sulla settantina. Una potenza di gioia e umorismo. È la solista del coro della chiesa e quando canta l’Ave Maria è brivido assicurato. Anche le sue polpette non sono affatto male. Poi ci sono Giulio Frigo, Luca de Leva, Alcide Pierantozzi, e altri rigorosamente al bar Picchio. Ottimi compagni di pensieri. E infine Lisa Dalfino, delicatissima creatura.

Come hai scoperto la zona in cui si trova il tuo studio? In che modo il quartiere influenza la tua routine quotidiana?

Mi servivo da laboratori che stavano qui nei pressi. Non molto tempo fa mi sono resa conto che è l’unico quartiere milanese che ha una grande fontana nella piazza. Molto bella tra l’altro, in stile fascista. L’essere ai confini di Milano poi è confortante, libera i pensieri. In realtà il quartiere non lo frequento, sono sempre in movimento per la città. A piedi, per lo più. Il quartiere semmai lo frequento dalla finestra. Guardo le fiumane di studenti che vanno avanti e indietro tra la stazione e il Politecnico oppure le Alpi, in lontananza, se il cielo lo permette. Flavio, il mio artigiano, è un esperto alpinista e mi ha detto che quelle che vedo sono le cime delle Grigne. Da quel giorno tutte le volte che appaiono all’orizzonte mi sembra di sentirle ghignare… Che simpatiche.